Un po' di storia per rinfrescare la memoria

Prima parte

VIA GIULIA NEL CINQUECENTO: DA GIULIO II A SISTO V

La vera storia di via Giulia comincia nel 1508, sotto il pontificato di un papa dalle idee straordinariamente lungimiranti Giulio II Della Rovere che fin dal suo avvento al soglio, avvenuto nel 1503, elabora un programma politico di vaste proporzioni improntato sulla Renovatio Romae, sorretto dall'idea di fondare uno Stato-Chiesa a carattere assolutista, ben inserito nella scena politica europea. La prima mossa di papa Giulio è quella di rimpinguare le finanze pontificie con una riforma monetaria, promossa con un atto del 1504, a cui seguono altri provvedimenti di carattere economico e fiscale volti ad allentare i rapporti con le famiglie baronali romane per privilegiare invece alleanze con i banchieri toscani, ed in particolare con Agostino Chigi, che si trova a gestire nei primi anni del XVI secolo alcune tra le più importanti attività economiche e finanziarie dello Stato Pontificio.

La linea ideologica perseguita da papa Giulio era appunto quella di promuovere un piano di modernizzazione delle vecchie strutture organizzative di stampo medioevale della città, in vista di un processo di completa riorganizzazione dello Stato.

Un piano del genere non poteva logicamente non coinvolgere anche l'assetto urbanistico di Roma. L'ideazione di un asse viario destinato eminentemente ai servizi, che avrebbe facilitato i collegamenti tra le diverse parti della città, che in quell'epoca andavano assumendo un'importanza economica oltreché sociale sempre maggiore, comincia ad interessare il papa intorno al 1508.

Decodificare i diversi motivi che portarono Giulio II ad immaginare la nascita della strada che porterà il suo nome non è molto facile, ma bisogna tenere ben presente una serie di fattori di natura diversa (soprattutto economica e politica) che concorsero alla genesi del progetto. In primo luogo, va visualizzata la situazione urbanistica della Roma inizio Cinquecento: tutti gli edifici pubblici di maggior rilievo vengono costruiti in un'area compresa tra la via Papale e l'ansa del Tevere (dove verrà tracciata la nuova strada): e precisamente il palazzo della Camera Apostolica, accanto alla chiesa di San Lorenzo in Damaso (attuale palazzo della Cancelleria, terminato appunto sotto il pontificato di Giulio II); la Zecca, nelle immediate vicinanze della chiesa di Ss. Celso e Giuliano; il palazzo della Cancelleria Vecchia (attualmente Sforza Cesarini) ed infine, last but not least, il palazzo dei Tribunali, che avrebbe costituito l'asse portante del piano giuliano per l'intera zona. Tutti questi importanti edifici, delimitando l'intera area dei Banchi, avrebbero dovuto fornire un maggiore impulso a una parte della città che costituiva già, "de facto", il centro economico e finanziario della nuova Roma cinquecentesca, conferendole una funzione in più, quella amministrativa. La "strada Julia", nuova arteria destinata ad assumere il carattere di rappresentanza delle attività finanziarie che si svolgevano nella vicina zona dei Banchi, avrebbe costituito una sorta di asse portante della Roma degli affari.

Ma gli intenti del pontefice avevano una portata ben più ampia ed ambiziosa. Da una parte, il progetto, affidato a Bramante, della costruzione di un gigantesco palazzo dove riunire non solo tutte le corti giudiziarie, che a quell'epoca si trovavano sparse in varie sedi diverse, (e in parte erano concentrate in Campidoglio) ma anche tutti i notai, per farlo diventare quindi il centro della vita amministrativa cittadina (il Vasari scrive, nella sua Vita di Bramante:"Si risolvé il papa di mettere in Strada Giulia, da Bramante indirizzata, tutti gli uffici e le ragioni di Roma in un luogo, per la comodità ch'ai negoziatori avria recato nelle faccende, essendo continuamente fino allora state molto scomode").

Dall'altra, l'ideazione di un piano urbanistico di portata più ampia, che coinvolgeva le due sponde del Tevere, creando un sistema viario che collegasse, secondo un percorso preciso, il porto di Ripa Grande, via della Lungara, ponte Sisto e via Giulia, in modo tale da permettere lo snellimento del traffico delle merci destinate ai fondaci fiorentini ed alla zona dei Banchi, dove fiorivano i commerci. Tale progetto era inoltre portatore di un carico ideologico molto preciso, riassunto in maniera efficace da una lapide situata sulla facciata di palazzotto Sterbini, in via dei Banchi Nuovi, apposta dai maestri delle strade Domenico Massimo e Girolamo Pico, in onore di papa Giulio. Nell'epigrafe, scritta in latino, è scritto che Giulio II, dopo aver liberato l'Italia ed aver ampliato i domini di Santa Romana Chiesa, abbellisce la città di Roma, che ha trovato in una condizione simile a quella delle città di conquista, piuttosto che a quelle ordinate.

Non solo, ma il percorso ideato dal pontefice veniva a porre le due strade "rectae et latae", via della Lungara e via Giulia, una di fronte all'altra: la prima, risistemata sulla base della traccia di un'antica via romana, collega la zona dei Borghi con Trastevere, e si connota come una strada suburbana, dedicata agli "otia". La seconda invece, perfettamente inserita nel cuore economico e commerciale dell' urbe, assume il carattere di asse viario destinato appunto a porre in relazione gli "otia" con gli affari, i "negotia", stipulati nella zona dei Banchi. Una strada di rappresentanza, di pubbliche relazioni, di collegamento tra commercio e foro giudiziario, tra "banchi" e mercati.

Le letture che sono state proposte del progetto urbanistico di Giulio II sono spesso ancora più complesse, e cariche di significati politici ed ideologici assai precisi: l'idea di connotare la grande piazza antistante il palazzo dei Tribunali come una sorta di Campidoglio papale, dove si sarebbe concentrata la vita economica della zona più ricca ed attiva di Roma; la possibilità di poter esercitare, grazie all'istituzione di una sorta di grande tribunale centralizzato, un controllo, se pur indiretto, sulla fiorente colonia dei fiorentini, ed infine, la decisa presa di posizione del pontefice nei confronti della fiera nobiltà cittadina. Bisogna ricordare infatti che il tracciato di via Giulia tagliava a metà il "monte" della famiglia Planca Incoronati, tra le più potenti della Roma di quel tempo.

Nelle intenzioni del pontefice dunque la nuova strada doveva necessariamente diventare una sorta di simbolo di un nuovo assetto della città, sotto l'occhio vigile dell'autorità papale: una "renovatio Romae" tesa ad una contrapposizione della Città Santa su quella terrena, che fa pensare ad una ripresa dei piani urbanistici di Nicolò V e Sisto IV.

Una "renovatio Romae" che nasconde in realtà una "renavatio imperii": Giulio II desidera emulare le imprese degli antichi imperatori romani, utilizzando l'attività edilizia ed urbanistica come strumento di potere e di propaganda politica, sotto il segno di una "auctoritas" di stampo imperiale. La nuova Roma di Giulio II viene concepita ad immagine e somiglianza d quella dei Cesari, in un estremo tentativo di razionalizzazione la cui portata avrebbe conferito un'impronta indelebile all'intero tessuto urbano.

Purtroppo l'intero progetto non venne mai realizzato, ma solamente cominciato. Nel 1508 dunque il pontefice incarica Donato Bramante di progettare il grandioso palazzo dei Tribunali, su un'area dove già si trovava la piccola chiesa di San Biagio "de cantu secutu" (o della Pagnotta), che avrebbe dovuto essere rinnovata ed inserita nel gigantesco edificio, enumerato soltanto due anni dopo dall' Albertini tra le sette meraviglie della "nuova Roma".

Ma l'impresa edilizia non durò a lungo: nel 1511, dopo la firma della cosiddetta "pax romana", i lavori vengono interrotti, per non essere mai più ripresi. Vasari descrive con queste parole il suo stato nella seconda metà del Cinquecento: "Onde Bramante diede principio al palazzo ch'a San Biagio sul Tevere si vede, nel quale è ancora un tempio corintio non finito, cosa molto rara, ed il resto del principio d'opera rustica bellissimo; ch'è stato un gran danno che una sì onorata ed utile e magnifica opra non sia finita, ché da quelli della professione è tenuto il più bell'ordine che si sia mai visto in quel genere",

Naufragato il progetto della costruzione di una sede unica per tutti i tribunali romani, il restante piano urbanistico-politico del papa, concepito proprio come raffinato e sapiente "instrumentum regni", viene a perdere gran parte della sua efficacia. Il progetto di cui la strada Giulia doveva costituire l'asse portante rimane quindi sulla carta, e la via, del tutto decontestualizzata, non è che un tracciato stradale senza più senso né significato.

Nel 1513, anno della morte di Giulio II, l'impresa viene definitivamente a concludersi: dell'immane piano urbanistico-giuliano non rimane che un ammasso di blocchi di travertino ai bordi di una strada ancora "in fieri".

Un'utopia punita che si manifesta con il fallimento del progetto di cui la "Strada Giulia" avrebbe dovuto costituire l'asse portante; e nemmeno l'unica, dal momento che Roma, nel secondo decennio del sedicesimo secolo, è punteggiata da una serie di architetture interrotte (secondo la intelligente definizione del Tafuri): la fabbrica di San Pietro, il palazzo dei Tribunali e Villa Madama, eloquenti segni di sogni superbi resi impossibili dalla storia.

Cosa resta dunque materialmente del piano di Bramante? Ben poca cosa. Vanificati i collegamenti con via della Lungara e i progetti politico-amministrativi legati alla costruzione del palazzo dei Tribunali, la "via recta" perde sia la sua funzione ideologica che quella strutturale: un asse urbano sì di avanguardia, ma svuotato del suo significato originario.

Gli interessi del nuovo pontefice, papa Leone X Medici, si focalizzano verso il potenziamento di tutta la zona abitata dalla florida colonia fiorentina e toscana, situata ad una delle estremità della strada, intorno a piazza dell'Oro, dove sorgerà la grandiosa chiesa di San Giovanni dei Fiorentini. Inoltre, sul piano strettamente urbanistico, l'apertura di via Ripetta, iniziata nel 1518 e realizzata dai "magistri viarum" Bartolomeo della Valle e Raimondo Capodiferro, si evidenzia come alternativa reale allo sviluppo urbano ipotizzato da Giulio II.

Sotto il pontificato di Leone X vengono emessi diversi provvedimenti per incentivare la crescita di un'edilizia ancora scarsa, soprattutto nella parte settentrionale della via: alcune strade vengono sistemate, ed il Capitolo di San Pietro, proprietario di numerosi terreni in questa zona insieme alle confraternite religiose, inizia ad attuare una precisa politica tesa a sviluppare il tessuto urbano dell'intera area. Sui lati della via cominciano quindi a nascere delle case di speculazione, che sorgono appunto in seguito a tali iniziative. Intorno alle sedi delle diverse confraternite (San Girolamo della Carità, oratorio del Gonfalone, San Giovanni dei Fiorentini) si costruiscono abitazioni la cui morfologia strutturale si assesta intorno ad alcuni standard ben precisi, e sostanzialmente non molto diversi da quelli caratteristici della nuova edilizia romana del Cinquecento. Su lotti dalla forma di un rettangolo allungato, sorgono edifici che si sviluppano in genere per un'altezza di due-tre piani, con giardino o orto retrostante, quasi sempre di piccole dimensioni, su un fronte stradale di circa 22 palmi.

Uno sviluppo urbano tendenzialmente uniforme caratterizza dunque la strada nel corso di tutto il Cinquecento, rotto soltanto da pochi edifici di dimensioni più grandi, sorti per iniziativa di privati odi enti religiosi. Nella pianta del Bufalini, datata 1551, compaiono le chiese di San Giovanni dei Fiorentini, di San Biagio e di San Nicola, oltre ai palazzi dei Tribunali (che compare sotto il nome di "palazzo di Giulio II") e Farnese ("palazzo di Paolo III"), mentre in quella del Tempesta, del 1593, molto più particolareggiata, vediamo comparire, oltre agli edifici sunnominati, anche il palazzo Ceoli (poi Sacchetti), e le chiese di Santa Lucia, di Santa Caterina e dello Spirito Santo.

Certamente un grosso impulso allo sviluppo dell'estremità settentrionale di via Giulia venne offerto dalla bolla emessa il 29gennaio 1519 dal papa, con la quale era stabilito che la futura chiesa di San Giovanni sarebbe diventata la parrocchia di tutti i fiorentini residenti a Roma, oltre che simbolo dell'unione Roma-Firenze, nonché nuovo polo urbano economico e di potere, costituito da banchi, fondaci, botteghe e residenze dell'aristocrazia e della borghesia commerciale toscana.

Nelle immediate vicinanze della zona dei Banchi e di ponte Sant'Angelo, che costituiva nei primi decenni del XVI secolo una sorta di "city" romana, grazie alla presenza degli uffici e delle residenze di alcune delle famiglie aristocratiche toscane (Gaddi, Altoviti, Strozzi, Chigi ecc.) ed alla costruzione della nuova zecca cittadina, il tratto settentrionale di via Giulia, in stretto collegamento con un'attività commerciale già ben avviata e floridissima, viene sottoposta ad un'importante spinta di sviluppo edilizio che perdura fino alla seconda metà del Cinquecento.

Uno dei primi personaggi che progetta di stabilirvisi è Raffaello, il quale, poco tempo prima di morire, acquista i diritti di enfiteusi su un terreno posto all'angolo tra via Giulia e via dei Cimatori, che avrebbe dovuto accogliere due palazzi ben distinti, di cui il primo, con la fronte su "strada Julia", destinato ad abitazione e bottega dell'artista, e il secondo, probabilmente, per appartamenti d'affitto. Una volta abbandonata la sua dimora precedente, palazzo Caprini in Borgo, Raffaello avrebbe potuto sfruttare al meglio i contatti che gli offriva il quartiere dei Fiorentini, pullulante di artigiani altamente specializzati e di personaggi facoltosi, che si sarebbero ben presto potuti trasformare in altrettanti committenti di opere prestigiose.

Con una mentalità che potremmo definire già manageriale, Raffaello avrebbe sottolineato, con la sua nuova "casa d'artista" in via Giulia, il suo ruolo e la sua dignità intellettuale nella Roma cinquecentesca.

Purtroppo però questo piano rimase irrealizzato, a della morte prematura dell'artista, che si spense nel 1520; dopo la sua scomparsa, la ripresa del progetto da parte di un altro toscano, Antonio da Sangallo il Giovane, consisterà nella costruzione di una modesta casa per artigiani.

Dopo il terribile Sacco del 1527, l'attività edilizia che interessa questo tratto della strada viene lentamente ripresa, proprio grazie al Sangallo, che in un certo qual modo fa sua l'idea raffaellesca di qualificare la zona intorno alla chiesa dei fiorentini come un settore di artisti e di borghesia "emergente".

Mentre le residenze dell'aristocrazia si situano su via Monserrato, voltando quasi le spalle a via Giulia, l'area dei fiorentini viene invece a connotarsi in questo senso attraverso alcuni interventi particolarmente significativi, orchestrati appunto principalmente dal Sangallo.

Quest'ultimo acquista, in due riprese (nel 1530 e nel 1542),alcuni terreni in questa zona, per costruirvi altrettanti edifici: il primo, più piccolo, per fini meramente speculativi (dove sorge il palazzo del Console di Firenze) e il secondo, all'angolo con vicolo del Cefalo, di dimensioni maggiori, per la propria abitazione. L'edificio, che verrà venduto, nel 1546, anno della morte di Sangallo, al cardinal Giulio Ricci di Montepulciano (che lo farà completare da un altro architetto, Nanni di Baccio Bigio), si connoterà come la presenza edilizia residenziale più significativa di questo tratto stradale. Come si configura quindi l'aspetto di via Giulia intorno alla metà del Cinquecento, dopo il tramonto definitivo dei programmi di papa Giulio?

La testata finale della strada, tra le rovine del palazzo dei Tribunali, utilizzate come scenografie teatrali, e la chiesa dei Fiorentini, è diventata l'area degli "emergenti" e degli artigiani specializzati, in stretto contatto con la zona dei Banchi. Dopo San Biagio della Pagnotta, andando verso sud, la situazione cambia radicalmente: tutta la parte centrale della strada, dominata dal "monte" della famiglia dei Planca Incoronati, si trova in una situazione di estremo degrado, ed è caratterizzata da edilizia povera, osterie, case di tolleranza e luoghi di malaffare.

Tutta la zona compresa all'incirca tra via del Gonfalone, via delle Carceri, via di Monserrato e piazza Padella, davanti alla chiesa di San Nicola "de furcis" (nei pressi del Tevere, oggi demolita) era infatti, fin dal Medioevo, una delle più malfamate di Roma. In un manoscritto del 1556, pubblicato dall'Armellini, la chiesetta di San Nicola viene così descritta: "San Nicola Incoronato è dietro Strada Giulia. È una chiesuola simile piuttosto ad una cappella che ad una chiesa parrocchiale... è piccola e il detto cappellano dice che le feste, quando dice messa, le persone stanno fuora della strada. Dice che fa 150 case di gente vilissima, meretrici, hosti, alloggiatori e persone disoneste la maggior parte, poche case di nobili...". Riguardo poi al soprannome della chiesa, "de furcis", esso viene spiegato in questo modo: "anticamente era una cappella dove sta l'altare et all'incontro et appresso la porta della chiesa se faceva la iustitia de' condannati a morte cole forche, sopra un pozzo onde li sotto vi è anco la preta che cuopre il pozzo dove si gettavano i corpi di giustiziati e perciò si chiamava San Nicola dei Giustiziati". Un'altra ipotesi, meno macabra e più verosimile riguardo all'origine del soprannome fa invece riferimento ai forconi usati dalle lavandaie o dai fabbricatori di corde per tendere cordami e biancheria.

In un vicolo non lontano da questa zona, detto "Calabraga" (oggi vicolo Cellini) abitavano nel XVI secolo tutte le cortigiane "camisare", spagnole o ebree convertite, così chiamate per il fatto che indossavano una camicia color giallo limone.

Oltrepassato il quartiere delle "luci rosse", ecco la chiesetta di Santa Aurea (che nel 1574 diventerà, insieme alle terre circostanti, di proprietà della confraternita di S. Spirito dei Napoletani) al centro di una zona che nel Medioevo veniva detta "Castrum senense", essendo la sede di una fiorente colonia di senesi, dediti prevalentemente ai lavori del ferro.

All'inizio di "Strada Giulia" viene a delinearsi, in questo giro di anni, un programma architettonico-urbanistico ben definito, che si contrappone idealmente alla crescita casuale ed incontrollata del tratto fiorentino della strada: quello promosso dalla potente famiglia Farnese, che trova nella costruzione della grandiosa residenza il proprio punto d'appoggio.

È interessante notare che fin dalla fondazione del palazzo, voluta dal cardinale Alessandro Farnese tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo, ci fosse da parte della famiglia l'intenzione di creare un sistema urbanistico che costituisse, in qualche modo, un'alternativa al piano di Giulio II. Già nelle prime descrizioni dei lavori, datate entro il secondo decennio del Cinquecento, appare chiaro che l'edificio si affaccerà non verso il Tevere (e quindi verso l'ipotetico tracciato del nuovo asse viario), bensì verso la zona commerciale ed il mercato di Campo dei Fiori, con cui sarà collegato mediante una "via recta", perpendicolare a via Giulia. E nel 1549, alla morte di papa Paolo III, il piano si trova ormai ad essere definitivamente strutturato, grazie alla creazione di una vasta piazza antistante la "mole farnesiana", arricchita dalla presenza delle due fontane laterali.

Il palazzo dei Farnese si trova quindi al centro di un percorso urbanistico che lega la città con la natura: Campo dei Fiori - via dei Baullari - piazza Farnese - l'atrio del palazzo - il cortile - il Tevere. Ma il progetto, stando alle indicazioni del Vasari, era ancora più esteso: "Et allora Michelangelo ordinò che si dovesse a quella dirittura fare un ponte che attraversassi il fiume Tevere a un altro lor giardino e palazzo [la villa "suburbana" della Farnesina, su via della Lungara] perché per la dirittura della porta principale che volta in campo di Fiori si vedessi a una occhiata il cortile, la fonte [costituita del gruppo statuario del "Toro Farnese"], strada Julia et il ponte e la bellezza dell'altro giardino, fino all'altra porta che riusciva alla strada di Trastevere, cosa rara e degna di quel pontefice e della virtù, giudizio e disegno di Michelangelo".

All'interno di questo progetto, la strada di Giulio II viene considerata né più né meno di una delle tante tappe del percorso urbano, che verrà scavalcata da un arco-cavalcavia necessario per collegare la residenza con i cosiddetti "camerini farnesiani", adibiti ad "antiquarium" ed affacciati in origine sul fiume.

La struttura "organizzata" del sistema farnesiano viene quindi a sovrapporsi a quella dell'asse viario, sviluppandosi, a differenza di quest'ultimo, in maniera organica e perfettamente pianificata.

All'ombra della spettacolare residenza, a partire dal 1540, cominciano a sorgere, sia su via Giulia che su via Monserrato, le case di persone e di famiglie legate all'impresa farnesiana: lo scultore Guglielmo Della Porta acquista ed amplia due edifici (i futuri palazzi Cisterna e Baldoca), i Farnese duchi di Latera acquistano un immobile vicino alla chiesa della Morte (poi palazzo Falconieri), e così via.

Non solo, ma l'avere in qualche maniera isolato un settore della strada posto a stretto contatto con quello più degradato di San Nicola, contribuisce alla nascita di un'area caratterizzata da una serie di esempi di edilizia privata di tipo prettamente residenziale: tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento sorgono, in questo tratto di via Giulia, un certo numero di palazzi e palazzotti, di proprietà di famiglie aristocratiche.

Le grandi residenze gentilizie continuano però dopo l'esempio dei Farnese, a volgere le spalle alla "Strada Giulia": il palazzo del cardinale Girolamo Capodiferro, compiuto intorno al '500, si affaccia su una piazza interna, mentre i suoi giardini confinano con il nuovo viario.

l Cinquecento si chiude per via Giulia con un ultimo tentativo di risanamento, che interessa una delle sue estremità: papa Sisto V cerca di chiudere la veduta prospettica della strada verso ponte Sisto con un edificio realizzato a partire dal 1536 da Domenico Fontana, da destinare a ospizio per i mendicanti, che a quell'epoca erano, a Roma, numerosissimi.

Ma non sono certo interventi di questo genere ad alzare il tono della via, descritta da Annibal Caro come un "luogo equivoco", dove si mescolano ladri, prostitute, artigiani, nobili, mercanti, religiosi e "popolino". La storia di "Strada Giulia", per tutto il corso del sedicesimo secolo, è costellata di occasioni mancate.

  Fine della prima parte

 

seconda parte

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